Al Vento

dall’intervista di Stefano Zago, per articolo completo https://alvento.cc/partite-senza-paura-racconto-di-un-viaggio-in-patagonia/

Partite, senza paura: racconto di un viaggio in Patagonia

Quando Mario Conti ,Ragno di Lecco, ha chiamato Stefania Valsecchi, ha detto solo poche parole: «C’è un viaggio che fa per te». Di fatto, Stefania ed Eleonora Delnevo si sono conosciute in questo modo e, da quel momento, sono diventate Steppo e Lola. Il viaggio di cui parlava Conti era, per l’appunto, il viaggio pensato da Lola Delnevo, anche lei alpinista, anche lei Ragno di Lecco, fino ad un brutto incidente nel 2015, proprio mentre scalava, che le ha fatto perdere l’uso delle gambe. «Il contatto con la natura è la cosa che più mi è mancata in questi anni. Le mie amiche, sapendo del mio legame con la montagna, hanno provato a spingere la mia sedia a rotelle anche nei sentieri fra i monti, ma io ho sempre voluto riprendermi la mia libertà. Volevo vivere quei posti in autonomia. All’handbike sono arrivata così». Sì, proprio lei che ammette di aver usato ben poco la bicicletta nella sua vita, più che altro per andare a scuola, è arrivata al ciclismo nel momento in cui di una bicicletta aveva più bisogno.

[…]. «Non sapevo come sarebbe andata, però, troppo spesso, ci si ferma ai dubbi, a quel che si ha il timore di non riuscire a fare, non volevo finisse così quest’idea. Ora lo so per certo: meglio partire, in ogni caso» […].

[…] Eleonora scopre dal basso quella natura che era abituata a vedere dalle rocce, una prospettiva invertita: «Non è stato facile tornare a prendere contatto con le montagne dopo l’incidente, ma il viaggio è la mia dimensione. Il mio modo di stare bene e ritrovare la portata umana che stiamo perdendo, sciolta nella velocità, nella liquidità di ogni cosa». A questo valore da ricercare, Delnevo aggiunge una precisazione: «Spesso, quando c’è una disabilità, si pone attenzione alla persona e a ciò che fa in quanto disabile, non in quanto persona. Il viaggio è anche un modo per ricordare di interessarsi e di parlare sempre e solo delle persone. Poi ci sono vari modi di fare le cose, ma il modo si trova, si cambia. La persona è il punto fermo».

Si segue la rotta della “Ruta 40”, da El Chaltén, El Calafate, le Torri del Paine, il parco Nazionale connesso, la Bahía Inútil, il Lago Fagnano e via. Talvolta si devono usare mezzi pubblici, pullman, perché non è proprio possibile pedalare ma anche in quelle occasioni il fatto di essere in bicicletta è un modo di riconoscersi. Stefania racconta: «Quando due ciclisti si incontrano, si fanno la festa, si spostano dall’altro lato della strada a salutare, si abbracciano, si commuovono talvolta. Fare lo stesso viaggio, vuol quasi dire conoscersi: è significativo». […] «Non importa che lingua parli, in un modo o nell’altro ti capisci, ti fai capire». Viaggiatori che vengono da tutto il mondo, che, ancora oggi, stanno continuando i loro viaggi e chissà dove arriveranno. Nel ricordo, anche il sorriso con cui gli abitanti di quelle terre accolgono, la costante voglia di rendersi utili, di ascoltare ogni domanda e di rispondere con gentilezza anche alle più scontate.

[…] Venticinque giorni di viaggio, diciotto effettivi di pedalate, una conoscenza che continua e si intensifica col passare dei chilometri, con l’adattarsi alle reciproche esigenze che sono, poi, la cifra di un viaggio condiviso […].


Anche il ritorno a casa è una scoperta, anzi, una riscoperta: delle proprie comodità, delle proprie piccole abitudini, che ora hanno ancor più valore, proprio perché si è vissuto altro, si è appreso altro.
Eleonora sorride, ride di gusto e riprende a parlare: «Partite, senza paura. Solo provandoci, scoprirete quanto è bello sapere di esserci riusciti». Quella bellezza che prende il nome di stupore, di meraviglia.

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